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Persone & Storie [di Pino Scaccia]

Franco Sensi

SENSI FRANCO

Cinque anni fa, il 17 agosto del 2008, moriva Franco Sensi, il presidente del terzo scudetto, molto amato dai tifosigiallorossi e quello rimasto al vertice della squadra più a lungo. Nato a Roma nel 1926, laureato in matematicaimprenditore nel campo petrolifero, Sensi diventò presidente del club giallorosso nel maggio del 1993 e rimase in carica fino al giorno della sua morte nel 2008, quando aveva 82 anni. Sotto la sua gestione la Roma ha vinto uno scudetto (2000-2001), due Supercoppe italiane (nel 2001 e nel 2007) e due Coppe Italia (nel 2007 e nel 2008). «Per anni ha messo il cuore, i soldi e la faccia. Va onorato per quello che ha fatto», ha detto una volta Totti ricordando Sensi. «Il mio rapporto con lui andava oltre al rapporto tra giocatore e presidente, mi ha sempre visto come l’unico figlio maschio della famiglia e mi ha gratificato sempre come uomo. Lo ricordo come fosse un padre. Per noi era un punto di riferimento e quando era in tribuna davamo sempre qualcosa in più», aveva aggiunto. «Noi mangiavamo pane e Roma – è stato invece qualche tempo fa il ricordo della figlia Rosella, che dopo la morte del padre prese il suo posto al vertice della società -. La Roma era sempre seduta nella nostra tavola, sia prima di prenderla che dopo. C’era in mio padre la convinzione che romano si identificasse con romanista, tutto quello che è la romanità, essere romano, amare questi colori, il Colosseo, la città di Roma, per lui questo era la Roma».

L’ho conosciuto e amato. Eppure sono laziale, perchè l’umanità di Franco Sensi prescindeva dallo sport a cui pure ha dedicato tanta passione.  La mia vita è completamente cambiata inseguendo quel mio vecchio sogno da ragazzino perchè è stato lui che me ne ha dato l’opportunità assumendomi come praticante a “Corriere Adriatico”, il suo giornale marchigiano nato da un atto di amore. Insomma è stato Sensi a farmi diventare giornalista. Poi ho scalato altre tappe, ma tutto è partito da Ancona, da quella piccola redazione in via Berti, vicino alla stazione. E’ passato molto tempo, erano gli anni 70, ma ancora ricordo quando veniva a trovarci con il piglio da imprenditore più che da editore. Per un periodo ero nel comitato di redazione e avevo il privilegio di incontrarlo. Per mesi preparavamo il pacchetto delle richieste poi arrivava “il dottore” con quel sorriso disarmante e gli occhi dolci e ci radeva al suolo: “Ragazzi, capisco tutte le vostre richieste. Ma il giornale mi costa tot. Se mi deve costare tot più una lira lo chiudo, chiaro?” La cosa incredibile è che nessuno di noi aveva la forza di aprire bocca e continuavamo a mandare avanti il “Corriere” con entusiasmo, dandogli – credo – molte soddisfazioni. Per il resto ho ricordi confusi ma credo che mi abbia fatto i complimenti quando sono passato alla Rai e che abbia espresso più volte l’orgoglio per “quel suo ragazzino che aveva fatto carriera”, mi ha sempre trattato con affetto paterno (ha ragione Totti). Ero il suo inviato preferito quando c’era da andare a Visso, il suo amatissimo paese d’origine. Mi pare che una volta c’incrociammo a un pranzo al Passetto: stava con la signora e mi mandò una bottiglia di champagne e volle conoscere mia moglie. Per un anno, dopo che ero andato via dal giornale, mi offrì di continuare a seguire le pagine dello spettacolo e quella collaborazione, in momento difficile, risultò decisiva per l’andamento della famiglia. Poi sono andato a trovarlo a Civitavecchia e nella villa di via Aurelia, a Roma. Insomma, gli volevo bene. Lo so, ci sono anche i figli degeneri e io ero laziale da prima per cui non potevo cambiare. Gli scrissi un biglietto quando diventò presidente: “Ma guardi che mi tocca fare, tifare per un romanista”. Un regalo comunque gliel’ho fatto in cambio di tutto quello che ho ricevuto da lui: un figlio romanista, che ha più o meno l’età di Rosella, ma un romanista vero, da curva sud. Di più non posso fare. Un abbraccio dottor Sensi.

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Questa voce è stata pubblicata il 18 agosto 2013 da in franco sensi.

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